Con la nostra rubrica dedicata alle interviste ai nostri autori, torniamo in Sardegna, per conoscere meglio Simonetta Delussu. Professoressa laureata in Lettere e Filosofia, Simonetta lavora in Germania e poi torna in Italia, in Sardegna, nella sua Tertenia.
In questa intervista, ci racconta come nasce “Delitto d’onore“, il suo romanzo che narra la storia di Irene Biolchini, giovane donna abbandonata incinta dal fidanzato che le aveva promesso di sposarla. Irene lava l’onta del disonore col sangue del suo ex fidanzato, ribaltando per la prima volta un dogma assoluto che voleva la morte della donna disonorata. Una storia di coraggio e amore per la vita, a dispetto di qualsiasi cosa.
- Come è nata la tua voglia di scrivere romanzi? C’è sempre stata o è arrivata a seguito di un evento particolare, un episodio importante della tua vita?
La passione della scrittura c’è sempre stata fin da piccola, alla scuola media mi ero fatta notare per una poesia dal titolo “Non vidi altro”che avevo scritto per il giornale della scuola. Stavo sempre con la penna in mano, con un quaderno che a forza di usarlo era logoro. Pensavo e ripensavo alle storie e alle poesie che poi scrivevo ovunque: ai margini dei libri, su foglietti vaganti, nel diario. Lessi che per diventare una brava scrittrice dovevo leggere molto e così nacque la mia passione principale: leggere, che è diventata ormai un’assuefazione. Avrei fatto di tutto per potermi dedicare alla scrittura.
- Come nasce l’ispirazione?
Nel mio caso, da storie che sento: storie interessanti; dalla solitudine dallo stare sola con me stessa. Leggo o sento qualcosa e da lì la mia fantasia inizia a volare. I libri che sto scrivendo son tutti ispirati alle storie che mi raccontava mia nonna, un pozzo inesauribile dal quale attingo a piene mani. Da lì, poi, ne nascono altre in una catena infinita.
- Che tipo di scrittore sei: scrivi di getto o prepari scalette, bozze, micro riassunti?
Scrivo di getto, poi faccio bozze, inserisco cioè i punti base di un capitolo e poi rimpolpo. Anche perché i libri che scrivo sono ispirati a delle storie vere: quindi devo ricreare l’ambiente sociale, la vita, le sensazioni, i sentimenti. Sono molto puntigliosa e quindi impiego molto tempo, scrivo di getto poi lo lascio lì, rileggo dopo una settimana o a volte di più, così che non mi sembra scritto da me e sono più critica. Solo allora inizio a spostare e cambiare brani o interi capitoli e ad aggiungere. Poi, abbandono il manoscritto per un bel periodo e quando lo riprendo vedo cosa devo cambiare. Alla fine, il mio editore esausto me lo strappa letteralmente dalle mani perché io lo sistemerei all’infinito, non sono mai contenta, vorrei continuare a modificare, cambiare anche una sola parola per renderla pregna di significato; sviscero i miei personaggi, penso come loro, ad un certo punto sono loro.
- Hai riti propiziatori/abitudini legate alla scrittura?
Inizio a scrivere sempre quando inizia l’autunno: i miei libri iniziano allora. Devo star sola e passo almeno una settimana a sentire i personaggi. Non parlo mai di quello che sto scrivendo con nessuno se non a grandi linee, sono molto scaramantica.
- Quali sono gli scrittori e i libri che ti influenzano maggiormente?
Sono tanti gli scrittori e i libri che hanno sicuramente influenzato la mia scrittura. Mi hanno influenzato i classici, sicuramente, Dante per la lingua e la sua poliedricità. Ho una venerazione totale e assoluta per la Divina Commedia e l’uso della lingua in Dante. Poi Virgilio, Apuleio… Ma se ci avviciniamo ai tempi più moderni, mi hanno influenzato gli scrittori sudamericani: Isabel Allende, Gabriel Garcia Marquez; spostandoci geograficamente Milan Kundera, Dan Brown, Glenn Cooper. Per l’Italia sicuramente Luigi Pirandello, Oriana Fallaci, Stefano Benni, Antonio Tabucchi, e se devo dare un occhiata alla Sardegna, un classico, Grazia Deledda, ma anche Marcello Fois ha tutto il mio apprezzamento e Salvatore Niffoi.
- Consigli per gli aspiranti scrittori
Iniziate con umiltà. Leggete tanto e scrivete tanto, non pensate di aver creato capolavori e neanche di essere dei Nobel e non pagate per pubblicare i vostri libri ma trovate qualcuno che creda in voi e voi per primi credete in voi stessi e in quello che fate. Non dovete volere tutto subito, niente è facile e il mestiere di scrittore non è una passeggiata.
- Con Parallelo45 hai pubblicato “Delitto d’onore: La storia di Irene Biolchini”. La vicenda al centro del romanzo è quella di Irene, giovane donna sarda che uccide il fidanzato Domenichino, che l’aveva abbandonata incinta. Come è nato l’interesse per questo particolare episodio di cronaca?
Ero molto piccola e giravo in cucina nella casa dove vivevano i miei nonni. Ero spesso con loro, sia perché tutti i figli stavano sempre dai genitori anche vivendo separatamente, sia perché appena potevo scappavo da mia nonna. Mio nonno era parente di uno dei personaggi del libro e parlava con nonna raccontando gli eventi, criticando, dando pareri, e io ascoltavo. Poi, nonna mi raccontava di nuovo tutto, rispondeva alle mie domande. Crescendo decisi che dovevo raccontare questa storia così particolare. Dapprima pensai di fare un romanzo ispirandomi solo al fatto di cronaca, ma via via saltavano fuori tante di quelle novità che capii che la storia reale era ancora più fantasiosa di qualunque fantasia avessi usato. Così, prima raccolsi tutti i dati che ricordavo e poi andai alla ricerca dei testimoni, sia del 1923 sia degli anni successivi, e li trovai tra i centenari. Andai a cercare le tombe, i parenti del morto, e ricostruii tutto come se fossi un investigatore e l’assassinio fosse accaduto oggi. Poi mi misi a scriverlo. Temevo che, una volta che tutti fossero morti, questi personaggi così singolari sarebbero finiti nel dimenticatoio e non era giusto. Trovavo poi zia Irene coraggiosissima, anche se aveva ucciso un uomo, e questa storia incredibile e quindi l’ho voluta raccontare.
- Ci sono aneddoti particolari e cose simpatiche che ti sono accadute mentre scrivevi il romanzo?
Sì, molte, ma alcune hanno veramente dell’incredibile. Ci sono alcune scene del libro inventate di sana pianta: il vestito indossato da Elvira (la prima moglie di Domenico), le persone presenti in certi momenti, anche perché solo qualcuno vicino a loro avrebbe potuto raccontarmele ed erano tutti morti. Venni chiamata per ben tre volte dai familiari e la domanda era sempre la stessa: «Come facevi a sapere questa cosa? Chi te l’ha detta? Perché è successa proprio così, ma lo sapeva solo mia madre che era presente e l’ aveva raccontato a casa mentre c’ero io piccolino e mio padre. Papà è morto, mamma è morta e io non l’ho detto a nessuno.» Non sapevo mai cosa rispondere, come facessi a sapere una cosa successa realmente ma che in realtà avevo solo immaginato e questo è rimasto sempre un mistero anche per me. E poi (quando è successo certo non mi ha fatto sorridere, ma lo racconto sempre), ho rischiato più di una volta di restare chiusa nei cimiteri dove andavo a cercare le tombe dei personaggi del libro ormai morti.
- Il romanzo è ambientato nella tua Tertenia, in Sardegna. Una questione su cui mi piacerebbe che tu riflettessi con noi è: perché gli scrittori sardi, a differenza di quelli provenienti da altre regioni, sentono più forte il desiderio di ambientare le loro storie in Sardegna e/o (come nel tuo caso) di raccontare fatti accaduti nella propria terra piuttosto che altrove? Da dove nasce questo radicamento forte, anche culturale, al territorio?
Penso sia il fatto di nascere e crescere in un’isola lontana dal “continente” e quindi, anche fisicamente, ovunque andiamo c’è il mare, uno stacco fisico. E poi non so, siamo diversi; i sardi sono diversi per la lingua, per la cultura ed è un isola magica: per la sua archeologia, per ciò che ci circonda. Un sardo può andare dove vuole, questa terra ti entra dentro: si percepisce molto questo senso di pericolo che viene dal mare, con i Romani, i Cartaginesi, ma anche con i Mori e le altre dominazioni dalle quali ci siamo sempre dovuti difendere. Siamo chiusi, molto diffidenti, ci apriamo poco con gli stranieri, ma ci apriamo tra di noi. Un sardo racconta qualcosa a un altro sardo perché sa che solo un sardo può capirlo. Ripeto, è una terra meravigliosa e magica con tanti problemi, che ti àncora a sé, come una sirena ti ammalia, e non riesci più a liberarti e non vuoi liberarti. Dall’entroterra alla costa è un ubriacarci di colori e sapori. Quale ambente migliore per ambientare i libri?
- Qual è il messaggio che “”Delitto d’onore” vuole trasmettere, se c’è un messaggio che può nascere da questa storia realmente accaduta?
Sì, la storia raccontata ha tanti messaggi. Intanto, è il primo delitto d’onore documentato perpetuato da parte di una donna, una ribellione profonda a un dogma a cui zia Irene decide di non sottostare, a dispetto di una consuetudine consolidata che voleva fosse lei a morire. Riesce a uccidere l’uomo che la disonora, cosa che allora, ai primi del ‘900, era una cosa gravissima. Non è un inno all’omicidio o alla violenza, è un libro principalmente di sentimenti e ci fa vedere come i condizionamenti sociali possono distruggere tutta la nostra vita ma anche che noi solo siamo responsabili delle nostre azioni e solo noi ce ne possiamo prendere il carico. E poi, in un periodo come il nostro con un crollo esasperante di principi morali, questa è una storia che ci mette di fronte a concetti come onore, responsabilità, e a un’epoca in cui gli errori non erano ammessi, come dico nell’introduzione: chi sbagliava aveva davanti solo una strada che lo portava al cimitero, chi sbagliava pagava con la morte, punto. Ecco, in un periodo dove pare non esistere nessuna regola, fare i conti con principi come onore, famiglia, vita, morte, penso che non possa fare che bene-
- Chi è la prima persona a cui hai fatto leggere il tuo libro?
Il mio editore che ho stressato per giorni, raccontando e chiedendo consigli.
- Hai già un’idea per il prossimo romanzo?
Un romanzo è finito e si trova già nelle mani dell’agenzia Bozze Rapide nella persona di Beniamino Soressi: è una saga familiare anche questa volta ambientata in Sardegna e abbraccia un arco di tempo che va dalla metà del 1800 fino al 1998. Inizia in Sardegna, come gli altri, ma la seconda parte è ambientata a Roma e finisce in Olanda.
Il libro che sto scrivendo in questo momento, invece, tanto per cambiare è ambientato in Sardegna per la prima parte ma per la seconda parte si sposta ad Algeri. È ispirato a una storia vera, accaduta nel 1812 sempre a Tertenia e parla di pirati schiavi e invasioni: un grande romanzo d’avventura e d’amore.